mercoledì 12 settembre 2012

Provincia di Udine: Inaugurazione "Sportello Famiglia"

Vi segnaliamo il seguente articolo tratto dal sito: http://www.provincia.udine.it/comunicazioneistituzionale/lanotizia/Pages/201209110819.aspx
News.
Mercoledì 12 settembre alle 11 in piazza I Maggio 15 il presidente della Provincia on. Pietro Fontanini e l’assessore alle politiche sociali Adriano Piuzzi inaugureranno, assieme ai rappresentanti del Forum regionale delle Associazioni familiari, lo Sportello Famiglia.
Proprio Provincia e Forum di recente  hanno sottoscritto un protocollo volto ad agevolare tutte le azioni intraprese dall’ente che portino a migliorare il benessere delle famiglie.

Fino a 1.800 euro a famiglia per le rette degli asili nido

Vi segnaliamo il seguente articolo tratto dal sito : http://messaggeroveneto.gelocal.it/cronaca/2012/09/11/news/fino-a-1-800-euro-a-famiglia-per-le-rette-degli-asili-nido-1.5678517

La Regione stanzia cinque milioni: uno in più del 2011. Aiuti ai nuclei con redditi inferiori ai 35 mila euro
UDINE. Sostegno alle famiglie: la Regione Fvg interviene nel campo dei servizi dedicati alla prima infanzia. Lo stanziamento per l’abbattimento delle rette di frequenza sostenute dai nuclei familiari nell’anno scolastico 2011/12 è corposo.
Conta su 5 milioni, uno in più rispetto all’anno precedente, e sarà in breve ripartito tra gli enti gestori del servizio sociale dei Comuni ai quali si devono rivolgere le famiglie. Gli aiuti sono concessi ai nuclei con Isee (indicatore della situazione economica equivalente) inferiore a 35 mila euro. Su proposta dell’assessore regionale all’istruzione, Roberto Molinaro, la giunta Tondo ha recentemente approvato la delibera che fissa le misure effettive dei benefici sulle rette di frequenza ai servizi per la prima infanzia, vale a dire per i bambini tra gli 0 e i 3 anni.
Le misure si differenziano in due scaglioni, a seconda dell’Isee, e non possono superare il tetto contributivo di 1.800 euro. Quanto agli scaglioni, il più alto è quello dei nuclei familiari con un indicatore equivalente inferiore a 20 mila euro, per i quali il beneficio è determinato nella misura compresa tra il 40% (minimo) e il 60% (massimo) delle rette di frequenza sostenute nell’anno di riferimento. Percentuale che scende per le famiglie con un’Isee compresa tra i 20 mila euro e i 35 mila, nel cui caso il beneficio è fissato da un minimo del 30% a un massimo del 40%.
In attesa di conoscere il numero di famiglie che hanno beneficiato del sostegno regionale nell’anno scolastico 2010/11 (i Comuni sono chiamati alla rendicontazione entro fine mese), Molinaro si aspetta per quest’anno un sensibile aumento delle richieste, considerata la crisi da un lato, ma dall’altro soprattutto l’ampliamento della gamma di servizi per la prima infanzia rispetto ai quali alle famiglie è consentito avanzare richiesta di contributo.
«Non ci sono più, infatti, solo gli asili nido – spiega l’assessore –, ma anche i servizi integrativi». Vale a dire i centri per bambini e genitori, gli spazi gioco e il servizio educativo domiciliare. «Approvato il regolamento, ora le famiglie possono chiedere il contributo anche per le rette a questi servizi. L’obiettivo – continua Molinaro – è quello di favorire la diversificazione dell’offerta diretta alla prima infanzia, specie in quelle zone dove, per via dell’esigua popolazione, gli asili nido non ci sono». In questo processo la Regione sta facendo la propria parte, sia attraverso i contributi a sostegno delle famiglie che con interventi diretti ai soggetti gestori, beneficiari anche quest’anno di un corposo stanziamento, «che – ricorda Molinaro – è stato confermato pari all’anno passato». Nell’ordine dunque dei 9 milioni.
«L’impegno della Regione per l’abbattimento delle rette dei servizi per la prima infanzia è cresciuto in modo considerevole – conclude l’assessore regionale –. Soltanto qualche anno fa i milioni destinati all’abbattimento delle rette erano tre, oggi siamo arrivati a cinque».

giovedì 6 settembre 2012

Il welfare aziendale fa bene (anche) al bilancio

Il seguente articolo è tratto dal sito: 
http://www.linkiesta.it/baby-sitter-e-maggiordomo-la-produttivita-parte-dal-welfare

4 settembre 2012 - 20:34
Maggiordomo, palestre, asili nido e lavanderie. E soprattutto, flessibilità. Negli orari, nei contratti di lavoro e anche negli stipendi. Per scovare esempi di welfare aziendale non serve arrivare fino alla Silicon Valley. Anche in Italia, piccole, medie e grandi aziende cominciano a darsi da fare per somigliare agli edifici colorati del Googleplex, il quartier generale di Google a Mountain View, sogno di tanti lavoratori vessati dallo stress d'ufficio. E ogni anno il Great Place To Work Institute seleziona anche per il nostro Paese le 25 migliori aziende in cui lavorare.



Quest’anno in cima alla lista si trova il gigante svedese dei brik del latte e dei succhi di frutta, Tetra Pak, che in Italia dà lavoro a circa mille persone. Oltre agli orari di lavoro flessibili, nella sede modenese i dipendenti possono usufruire di sauna, palestra, un servizio di lavanderia e di riparazione degli impianti domestici, un bus navetta urbano, una copertura sanitaria integrativa per il rimborso delle spese mediche, contributi per l’acquisto di pc e per l’alfabetizzazione digitale di tutta la famiglia. Un gradino sotto Tetra Pak, si è posizionata la Cisco Italia, azienda californiana specializzata negli apparati hardware per le reti aziendali. Quattrocentonovanta dipendenti in Italia e cinque sedi tra Vimercate, Monza, Roma, Torino e Padova.
Qui il welfare aziendale poggia sul concetto di flessibilità, dicono. «Noi tutti lavoriamo duramente ma abbiamo messo in campo politiche e strumenti affinché si possa conciliare il lavoro con le esigenze personali», spiega l’amministratore delegato David Bevilacqua. Del resto, «siamo l’azienda che ha la rete, la condivisione, l’accesso e la collaborazione da qualsiasi luogo e da qualsiasi strumento e noi stessi ne traiamo le opportunità offerte». Alla Cisco, la presenza fisica in ufficio e il luogo di lavoro non sono importanti. E non esiste neanche un registro delle presenze. «La nostra cultura aziendale», continua l’ad, «si basa sui concetti di collaborazione e sulla misurazione dei dipendenti in base a obiettivi personali. Emblema di questa cultura aziendale è che i dipendenti Cisco non devono registrare l'entrata o l'uscita dall'ufficio».
È quello che viene chiamato “flexible work”. Con «la possibilità di lavoro da remoto». Questo significa che «la postazione presente in ufficio viene replicata nell'abitazione del dipendente, rendendo assolutamente trasparente per il chiamante il luogo fisico da cui si risponde ad una telefonata, da cui si fa una conference call, una sessione di Webex o una chiamata attraverso una postazione video». Il che, prosegue Bevilacqua, «permette di evitare il traffico nelle ore di punta ma soprattutto di lavorare gestendo i propri tempi durante la giornata, in particolare per coloro che hanno necessità di conciliare la vita familiare con gli impegni professionali».
Fin qui la flessibilità. Poi arrivano i benefit. Oltre alle agevolazioni economiche, come l’assicurazione per chi viaggia e le convenzioni con palestre e asili nido, c’è anche un servizio sanitario personalizzato, Employee assistance program (programma di assistenza per il dipendente). «Oltre un anno fa abbiamo lanciato un sistema innovativo di prevenzione sanitaria in collaborazione con l’Ospedale di Niguarda per i nostri dipendenti di Vimercate», spiega Bevilacqua. «Il servizio, basato sulla nostra tecnologia di telepresenza, consente ai lavoratori di sottoporsi a visite di prevenzione senza lasciare l’ufficio, avvalendosi di una postazione in azienda collegata con il Niguarda». E la ricaduta sulla produttività di un sistema che punta «sul benessere di tutti i lavoratori» è sotto gli occhi di tutti. «Basta guardare ai nostri risultati trimestrali e annuali pubblicato lo scorso 15 agosto», commenta Bevilacqua. Nell’ultimo anno le vendite sono cresciute del 7%. E nel quarto trimestre del 2011-2012, il gruppo ha riportato un utile netto pari a 1,92 miliardi di dollari, in crescita del 55% rispetto agli 1,23 miliardi dello stesso trimestre dell’anno precedente. 
Passando dalle reti di Cisco ai software della multinazionale americana Sas, al 12esimo posto in calssifica Best Place to Work, i servizi non diminuiscono. Nella struttura del vecchio istituto Sieroterapico di Milano, lungo il Naviglio Pavese, a maggio 2011 è stato inaugurato l’asilo nido aziendale: 400 metri quadri aperti ai figli dei dipendenti e a trenta bambini del quartiere, per un totale di circa cinquanta posti. E gli orari di entrata e uscita sono flessibili, adattabili alle esigenze dei genitori che lavorano. Un servizio di non poco conto, se si considera che le donne all’interno della Sas rappresentano il 43% del personale e il 50% del board (6 su 12). E se non si riescono a conciliare gli orari d’ufficio con gli impegni familiari, oltre alla flessibilità oraria e al telelavoro, l’azienda mette anche a disposizione il “servizio maggiordomo”, una persona che paga le bollette, porta i panni in lavanderia, ma che può anche prenotare i posti a teatro e per i concerti o pagare l’abbonamento tv e le multe dell’auto. 
Un punto forte dell’azienda è la flessibilità nei contratti di lavoro. «Sas ha all’attivo 27 orari di lavoro diverso per una massima conciliazione tra vita professionale e privata», spiega Elena Panzera, direttore delle risorse umane. Tra i dipendenti, il 10% ha un contratto part-time. E alle donne che rientrano dalla maternità viene concesso un orario ridotto per i sei mesi successivi. Se welfare significa anche benessere, nella struttura non poteva mancare una palestra. Con tanto di personal trainer. Duecento metri di attrezzature per ogni tipo di attività. «Utili soprattutto per la prevenzione del mal di schiena e alla correzione della postura», dicono. Problemi comuni tra chi passa tante ore dietro a una scrivania. Tra tapis roulant e cyclette, c’è anche un nutrizionista pronto a dare consigli alimentari. I corsi a disposizione vanno dalla preparazione presciistica ai corsi di autodifesa personale, dallo yoga al beach volley. «C’è il corso pilates due volte a settimana e uno di body tone sempre due volte a settimana», spiega Raffaella, una degli addetti stampa della compagnia. 
Ultima novità del welfare aziendale firmato Sas è il sistema di flexible benefits. Perché qui, sarà la contaminazione americana, anche la retribuzione diventa flessibile. Come funziona? Parte dello stipendio (variabile) può essere integrato con servizi offerti al dipendente, che normalmente verrebbero comprati all’esterno e che invece in questo modo vengono offerti attraverso l’azienda e quindi detassati. Con questa tecnica, il costo del lavoro per l’azienda diminuisce e il potere d’acquisto del dipendente aumenta (perché la parte accessoria dello stipendio non è soggetta alle tasse). Alla Sas, tutto questo si fa online: ogni dipendente può accedere a un’area riservata del portale aziendale per confezionare la componente del proprio pacchetto retributivo variabile, scegliendo i benefit di interesse nell’area dell’istruzione per i familiari, dei finanziamenti o dei servizi come i viaggi, gli abbonamenti per spettacoli, le baby sitter ecc. «La nostra politica di flexible benefit», spiega Elena Panzera, «è un tassello di quel sistema più ampio di welfare aziendale che abbiamo voluto chiamare 2.0 per rimarcarne le novità. Un welfare che riposa su tre capisaldi: le persone e le loro famiglie, la formazione dei giovani e il collegamento forte con il mondo del lavoro».
Ma anche tra chi è rimasto fuori dalla classifica dei Best Place to Work, i servizi “family friendly” ispirati alla flessibilità non mancano. In Veneto, la Regione ha erogato un contributo di 850 mila euro a 42 imprese, cooperative, aziende sanitarie ed enti pubblici che si sono dimostrati creativi nella gestione del welfare d’azienda. Di questi, 740 mila euro sono spartiti tra 28 aziende che hanno promosso la flessibilità di orario e contratti di lavoro part-time. Gli altri 110 mila euro sono stati invece distribuiti tra 14 aziende che si sono distinte per aver agevolato il rientro a lavoro delle donne dopo la maternità. 
Tra queste, c’è la Baxi, azienda di Bassano del Grappa, Vicenza, che progetta, produce e distribuisce caldaie e climatizzatori. Tra i dipendenti, 760 in tutto, ci sono 240 donne e 100 immigrati. «Siamo attenti alla conciliazione tra vita lavorativa e familiare già da molti anni», dice Silvia Bordignon, responsabile della gestione del personale. «Tenendo anche presente che l’azienda ha delle esigenze specifiche». Un esempio è la linea di produzione a orario differenziato. «Una linea di montaggio e assemblaggio», spiega, «senza turni, ma con un’entrata alle 8, una pausa di mezzora e la chiusura alle 16,30». Non tutti, però, possono accedervi. Ci sono delle priorità: prima vengono i lavoratori con figli da 0 a 3 anni, poi quelli che hanno figli che frequentano scuola materna ed elementare e infine chi ha familiari con problemi di salute o chi ha bisogno di permessi studio. A comporre questa catena di montaggio “family friendly” ci sono 25 lavoratori. «In prevalenza madri», spiega Bordignon, «ma ci sono anche molti padri». E al rientro dalla maternità, fino ai tre anni di vita del bambino si può richiedere un orario di lavoro ridotto. Ma niente part-time. «Il contratto part-time è troppo rigido per noi», spiega Bordignon, «che invece abbiamo bisogno di molta flessibilità. Il part-time noi lo facciamo in un altro modo, dando la possibilità di orari di lavoro ridotti che però si adattano anche alle esigenze di produzione dell’azienda». 
E per chi avesse «problemi familiari, di tossicodipendenza e alcolismo», è stata creata anche la figura del “delegato sociale”. Che ha il compito di «mediare con le strutture del territorio per offrire supporto ai lavoratori». Quello che manca è l’asilo nido aziendale. «La popolazione dei dipendenti è molto variegata dal punto di vista logistico», dice la responsabile delle risorse umane, «quindi è stato difficile individuare una struttura con cui creare una convenzione. Oltre che al fatto che manca la collaborazione da parte da parte delle strutture, che vogliono avere garanzia di un totale di posti occupati. Cosa che noi non possiamo dare».
Nonostante l’assenza di un servizio di scuola materna, però, i benefit destinati ai figli non mancano. Come i buoni scolastici: ogni anno Baxi offre ai figli dei propri dipendenti dei buoni sconto per l’acquisto dei libri scolastici e universitari. E gli effetti sulla clima aziendale sono positivi, assicurano. Il tasso di turn over è molto basso e anche l'assenteismo si è ridotto negli anni. «Certo non si può provare che alla base ci siano questi servizi. Ma qui i lavoratori si trovano bene», racconta Silvia Bordignon, «c’è un clima di collaborazione e di fidelizzazione all’azienda». 
Dalla provincia di Vicenza a quella di Venezia, tra i capannoni di Automazione Veneta, azienda che realizza porte scorrevoli e girevoli per banche e uffici. Nella sede di Camponogara lavorano una settantina di dipendenti. Quasi tutti uomini. Ecco perché i servizi “family friendly” qui sono dedicati soprattutto ai padri, con permessi e orari elastici per accompagnare i bambini a scuola o per assistere parenti anziani. L’azienda ha anche stipulato convenzioni con servizi di baby sitting, lavanderia, centri estivi ricreativi e ludoteche. Senza dimenticare i corsi sulla conciliazione tra vita lavorativa e famiglia e sulla educazione paterna. 
C’è chi crea e gestisce benefit e servizi tra le mura della propria azienda. Chi invece si rivolge a ditte esterne specializzate per la progettazione di pacchetti di welfare creati ad hoc. Come la Eudaimon, società nata a Vercelli dieci anni fa. «In un periodo di crisi come quello odierno, in cui non è raro che lo Stato latiti nel garantire servizi di pubblica utilità», spiega Sara Perozzi, responsabile della direzione marketing dell’azienda, «società come la nostra si fanno promotrici del cosiddetto “secondo welfare”». E le aziende «sono sempre più sensibili alle politiche di welfare e inclini alla adozione di programmi di conciliazione vita-lavoro». 
Il welfare, dice Alberto Perfumo, amministratore delegato di Eudaimon, «si ripercuote positivamente sul clima generale dell’impresa, che vede i suoi lavoratori prendere parte alla vita aziendale con più serenità e quindi con più motivazione». Perché? «Migliora la gestione del carico di lavoro e il coinvolgimento nei processi produttivi, con conseguenti vantaggi sulla competitività dell’azienda stessa». Per questo motivo nel 2009 è nato il network di aziende Iep (Imprese e persone), una rete di 18 imprese italiane (tra cui Edison, Wind, Sea ecc.), «che hanno a cuore il benessere dei propri collaboratori e promuovono sistemi innovativi di welfare in azienda». 
Ma come funziona la progettazione di un piano di welfare per una impresa? «Ogni piano nasce dall’incontro tra aziende e consulenti del benessere», spiega Perozzi, «che valutano gli obiettivi aziendali, le caratteristiche dell’impresa e le esigenze dei lavoratori, in modo da procedere insieme alla stesura di un programma di welfare efficace e personalizzato». Tra i servizi più richiesti, ci sono quelli che riguardano la cura della famiglia. «Come il baby sitting, i campus estivi, il supporto allo studio, i corsi di genitorialità e il servizio di help desk per gli anziani», dice la reponsabile. E poi ancora quelli relativi alla salute - dalle visite mediche alle palestre - , al risparmio («le convenzioni e i temporary shop») e soprattutto alla gestione del tempo, «con il disbrigo di pratiche e piccole commissioni». 
Merita un capitolo a parte il cosiddetto «welfare in rosa», destinato alle donne. Con «corsi reinserimento al rientro della maternità, sportelli di supporto psicologico, parcheggi dedicati, flessibilità, telelavoro e tutto ciò che può agevolare dopo una lunga pausa dai ritmi lavorativi». E l’azienda? «È chiaro», risponde Perozzi, «che oltre ad aiutare i dipendenti a risolvere esigenze e bisogni di conciliazione vita-lavoro, l’azienda rafforza in questo modo anche la propria immagine sul mercato». Con «il minimo sforzo e il massimo rendimento».


lunedì 3 settembre 2012

Un papà su 4 a casa con i figli. Il record dei tedeschi.

 Vi segnalo il punto di vista maschile alla questione conciliazione in Germania.
 Il seguente articolo tratto dal sito: http://www.imprendium.it/index.php/it/notizie/conciliazione-vita-lavoro/1943-un-papa-su-4-a-casa-con-i-figli-il-record-dei-tedeschi

In 5 anni passato dal 3,5% al 25% il numero di chi ha fatto richiesta. La legge: bonus di 2 mesi se si congeda anche lui. Stanno con il bebè 7 ore al giorno e le donne tornano prima al lavoro.

A Berlino, il fine settimana, le strade e i parchi si riempiono di giovani famiglie. Padri, madri, bambini, carrozzine e passeggini invadono viali, negozi e giardini pubblici. È una città molto giovane, e questo si sapeva. Ma la differenza arriva dal lunedì al venerdì, quando le stesse famiglie scendono di nuovo in strada. Questa volta, però, con un'eccezione. Ci sono gli stessi bambini, le stesse carrozzine e gli stessi passeggini. E, spesso, gli stessi padri, magari con il biberon in mano. Mancano solo le madri, perché sono in ufficio o in fabbrica a lavorare.
Impressioni? Coincidenze irripetibili di una città giovane e progressista? Non solo. In tutta la Germania la percentuale dei neopapà che prendono un congedo di paternità è schizzata dal 3,5% del 2007 al 16% del 2009 fino al 25% oggi. Le cifre - riportate in uno studio dell'Istituto tedesco per la ricerca economica (Diw) e rimbalzate sul quotidiano Berliner Zeitung - sono il risultato di una riforma messa in piedi cinque anni fa dall'allora ministro della Famiglia Ursula von der Leyen, madre di sette figli e oggi ministro del Lavoro. Il sistema lanciato nel 2007 prevede in linea di massima fino a 14 mesi (per figlio) di congedo genitoriale, in cui viene versato fino al 67% dello stipendio a chi accudisce il bambino. Padre o madre che sia, non fa differenza. Anzi, se alla fine è comunque solo la madre a restare a casa, il congedo si blocca al dodicesimo mese. Altrimenti, se anche il padre lascia il lavoro per la cameretta del bebé, allora si arriva ai 14 mesi. Forse è anche per questo - per quei 2 medi di «bonus» se interviene anche il papà - che il congedo medio maschile viaggia proprio tra uno e due mesi. Ma c'è chi (il 14%) va oltre e resta a casa dai tre agli otto mesi.
Family-MenI tedeschi, storicamente amanti dei numeri e della precisione, hanno anche quantificato le ore. Quando sono in paternità, gli uomini dedicano ai figli 7 ore del giorno, contro le 2,7 ore nelle normali giornate di lavoro. «Sette ore, ma potrebbero fare ancora meglio», storcono il naso non poche mogli e compagne. Resta il fatto che, in ogni caso, un papà su quattro accetta uno stipendio ridotto pur di passare qualche mese con il nuovo arrivato. E - quasi incredibile, ma vero - ci sono padri che, una volta tornati tra computer e scrivania, chiedono il part time. Qui mancano i numeri, ed è prevedibile che siano piuttosto bassi. Ma il fenomeno, visto con occhi mediterranei, dà comunque nell'occhio.

Un'altra sorpresa viene dalla classifica dei Land (le regioni in cui è divisa la Germania) dove più alta è la quota dei padri in congedo. La lista, stilata dall'Ufficio statistico federale, vede sul podio due Land della vecchia Germania Est: la Sassonia (prima) e il Brandeburgo (terzo). Al secondo posto la ricca Baviera, al quarto Berlino. In Baviera, dove il mercato del lavoro «tira» e la domanda delle aziende è forte, probabilmente molti padri in congedo non temono «ripercussioni» al loro ritorno in ufficio. Nei Land dell'Est la situazione può essere più complessa e il mercato meno roseo. Eppure, come appunto in Sassonia, in diverse regioni la quota dei padri in congedo è più alta, molto più alta, di quanto succede in facoltosi Land dell'Ovest, dal Baden-Wuerttemberg al Nord Reno-Westfalia.

Dietro tanti «family men» tedeschi ci sono molte donne che, normalmente, guadagnano più dei loro mariti o compagni. Quindi, fatti due conti in tasca, la coppia può ritenere più opportuno dare più spazio a lei nel lavoro. E una prova di tutto ciò la danno, ancora una volta, i numeri: da quando il congedo è diventato «egalitario», le donne tornano prima in ufficio, gli uomini dopo e - nell'anno che segue alla nascita del bimbo - il reddito complessivo della famiglia è oggi più alto di quanto succedeva in passato. «Significativamente» più alto, precisa lo studio «made in Germany».